sabato 7 dicembre 2013

"Come se fosse ieri": Intervista su Romance Magazine/WMI

Articolo originariamente comparso su Romance Magazine n. 12 e Writers Magazine Italia n. 36.

Irene Vanni: un esordio come se fosse ieri

La nostra collega e amica è recentemente approdata alla pubblicazione con la casa editrice Fabbri. Cerchiamo di conoscere meglio lei e il suo romanzo...

di Libera Schiano Lomoriello

Chi è Irene Vanni?

Sono una scribacchina, incallita. D’inverno ho perfino i geloni sulla mano addetta al mouse. Come giornalista ho fatto esperienza in svariati campi, perlopiù relativi alla musica (il mio esordio in edicola è avvenuto sul mitico Metal Shock) e alla cultura horror (sono attualmente curatore di Horror Magazine); anche riguardo la narrativa mi sono divertita a sperimentare più generi, sia come lettrice sia come autrice. Come persona sono altrettanto onnivora, boicotto solo l’esagerazione col peperoncino, proprio perché mi piace distinguere bene i sapori diversi.

E come nasce la scrittrice Irene Vanni?

Non ne ho un ricordo cosciente, già all’asilo volevo scrivere, tanto che ho imparato da sola scopiazzando le Fiabe Sonore di Fabbri, che a distanza di decenni la sorte mi ha destinato come editore. Diciamo che su un quaderno di cento pagine novantanove erano figure e una di storia in stampatello, ma ho coltivato questa passione grazie a una mamma che mi ha incoraggiata e una maestra che ogni lunedì mattina, fra i titoli a scelta per i temi, inseriva “Inventa una storia.” Il percorso cosciente è iniziato però nel 2005 sul forum di Writers Magazine Italia. Lì, grazie ai consigli di Franco Forte, il confronto con gli altri autori, le selezioni editoriali e le testate nel muro per incamerare le tecniche di scrittura, ho capito non solo cosa dovevo fare, ma soprattutto cosa NON dovevo fare. Di conseguenza ho gettato nella raccolta della carta quanto avevo scritto fino a quel momento e mi sono rimboccata le maniche. C’è voluta parecchia pazienza prima di ottenere pubblicazioni serie e incarichi sempre più impegnativi, ma è valso mille volte di più di quanto insegna la scuola italiana.

Quando nasce l’idea di “Come se fosse ieri”? Cosa ti ha ispirata?

Avevo in mente da tempo di dedicarmi a un romanzo non di genere, ma le occasioni che mi si erano presentate fino ad allora comprendevano quasi sempre linee guida inerenti il fantastico. Inoltre, in quel periodo, ho mancato per svariati problemi un concerto dei Duran Duran che avevo messo in programma con amiche di vecchia data. Quando in Fabbri, dopo aver letto alcuni miei lavori brevi, mi hanno dato carta bianca per scrivere un romanzo, mi è venuto spontaneo fare due più due e sfruttare il topos del mainstream di formazione sui vecchi amici che si ritrovano a distanza di tempo, inserendo la trovata dei Duran Duran (le nostre eroine devono andare al Lucca Summer Festival, dove la band si è esibita davvero nel luglio scorso), a simbolo di un’epoca apparentemente in contrasto con quella critica attuale. L’impostazione di partenza mi ha aiutata a realizzare un’altra idea che come lettrice trovo di rado, ovvero l’unione fra la ‘seriosità’ del mainstream, con tutti i problemi annessi e connessi a una generazione al macero, e la ‘leggerezza’ e l’ottimismo che solitamente si trovano più che altro nella narrativa di genere.

Uno dei pilastri della storia sembra partire dalla perdita dell’amica. Segna sia le “amiche” che il loro rapporto. Quanto ha influito sulla tua scrittura?

Più che un pilastro sono le fondamenta, nel senso che parte tutto da lì. In realtà Manuela non si vede mai nel corso della storia, ma la sua presenza aleggia nei ricordi e nelle riflessioni delle tre protagoniste; il ‘giochino’ che ha lasciato loro in eredità le costringe a seguire un percorso fatto di incontri e scambi che le porta in breve tempo a un’evoluzione psicologica nei confronti di loro stesse e degli altri. Laura è una single incallita, Simona non ha ben superato il complesso di Elettra, Cinzia ha paura di sformarsi, dunque nessuna di loro ha figli, ma devono organizzare tutto per una ragazzina, molto meno impacciata di loro, anche se il vedovo si rifiuta di mandarla al concerto. Si ritrovano nella stessa situazione in cui erano all’età della figlia di Manuela. L’amica, da morta, agisce comunque, mettendole nelle condizioni di tornare indietro e scegliere di essere qualcosa di diverso rispetto a ciò che sono diventate.

Ognuno quando scrive mette nei personaggi qualcosa di sé. Tu in chi ti rivedi maggiormente? E chi invece è l’altra faccia della “medaglia Irene”?

In tutti i personaggi c’è qualcosa di me e qualcosa di diverso da me, sono nati dalla mia testa, ma nessuno è “Irene”. Ci sono però svariati aneddoti realistici che ho sfruttato per rendere più verosimile e vissuta la vicenda, come i flashback sul concerto di Firenze del 1987 a cui io stessa andai davvero; ma si tratta perlopiù di situazioni tipiche, non strettamente autobiografiche, in cui spero si riconoscano molte persone che sono state adolescenti negli anni Ottanta, dagli orecchini con la clip agli scaldamuscoli, dalla guerra fredda alle canzoni dell’epoca, i film e i programmi televisivi. Gli anni Ottanta gravano su tutte loro un po’ come Manuela, anche se se n’è andata, tanto più che il presente si mostra anch’esso carico di situazioni emblematiche, come la condizione (non) lavorativa delle donne di un’intera generazione o i rapporti sempre più problematici col sesso opposto in un mondo che cambia. Ci vedo molte persone che conosco, chi per una cosa e chi per un’altra, anche se i personaggi e gli accadimenti sono inventati. Però, se proprio dovessi riconoscermi in un personaggio come autrice, senza svelarti troppo ti dico che c’è un deus ex machina, una psicologa, che muove le fila dell’intreccio all’insaputa dei protagonisti e l’espediente dà vita a bizzarri siparietti che mi auguro spingano i lettori a tifare per lei e per la piega che vorrebbe far prendere alle vicende.

Alcuni autori si lamentano che i personaggi li portano per sentieri sconosciuti e addio scaletta. Tu che punto di vista hai preferito adottare durante la stesura? Hai vissuto con loro o per loro?

Con loro. Se una scaletta è ben programmata i personaggi non vanno per conto proprio. Nel momento in cui mi è stato assegnato l’incarico, e l’idea già mi frullava per la testa, ho appuntato schede dei personaggi e intera struttura, poi sono partita. In realtà ho impiegato meno di un mese a scriverlo. Senza scaletta, oltre al sentiero dei personaggi, si perde anche tempo. La struttura è a paragrafi alternati, il punto di vista è spartito fra le tre protagoniste e ognuna di loro ha un compito ben determinato, un punto di partenza e un punto di arrivo (Laura gioca il ruolo più disperato, Simona è il lato comico, Cinzia quello frivolo), così come lo avevo io, dato che quando ho iniziato a scrivere il prologo già sapevo con quale frase e perché volevo chiudere l’epilogo. Ci deve essere un messaggio, un significato nel filo conduttore. Consiglio sempre di evitare l’atteggiamento da genio a briglia sciolta che si lascia trascinare dalle Muse, perché porta solo a strutture pasticciate, prive di equilibrio, in cui sfuggono incongruenze o errori di vario tipo. E non è vero che la programmazione toglie spontaneità, perché poi le singole scene, i dialoghi e le azioni scorrono sul momento. Mai inoltrarsi in sentieri sconosciuti in fase di stesura, si potrebbe incontrare il Lupo Cattivo del blocco dello scrittore.

E l’amore che ruolo ricopre nel libro? Come lo vivono i tuoi personaggi?

A ben vedere non si tratta di una storia d’amore, ma di amicizia, però quando le esistenze vengono stravolte si vanno a toccare tutti e tre i campi dell’oroscopo, no? Lavoro, salute e naturalmente amore. Le protagoniste hanno delle situazioni iniziali che vanno a cozzare con quanto il nuovo impegno le mette a confronto e i personaggi maschili hanno in questo un ruolo fondamentale, sia quelli positivi, sia quelli negativi, tanto che qualcuno di loro, pur non avendo mai paragrafi dal suo punto di vista, acquista importanza e spazio da protagonista al pari delle tre donne. Laura deve attraversare il passaggio dall’amore immaturo a quello maturo; Simona si interroga sulle differenze fra l’amore possessivo e cerebrale e quello schietto e passionale; Cinzia è in bilico fra la dipendenza da qualcuno/qualcosa e l’amore per se stessa. Ognuna di loro riveste un profilo di donna e di approccio all’amore e all’eros diverso, ma il veicolo è sempre e comunque la classica paranoia che contraddistingue il genere femminile quando si trova di fronte a problemi di tipo sentimentale. Ovviamente non ti rivelerò cosa stravolgerà le situazioni di partenza, chi entrerà in scena e come andrà a finire, ma posso aggiungere che mi sono sbizzarrita con gli stilemi del romance; uno dei tormentoni che segna i dialoghi difatti è “l’happy end non è necessario però è divertente”, ma ho pescato anche altri cardini curiosi, come le copertine osé di alcune pubblicazioni dell’edicola, per non parlare degli “eroi” che, come in una sfida al classico protagonista di un romanzo rosa, ho costruito al contrario: uno è brutto, un altro sempliciotto... ma hanno altre qualità, magari proprio quelle che piacciono davvero nella vita reale. Per finire, un’abbondante dose di erotismo, ma sempre funzionale all’intreccio, mai fine a se stesso; anzi, mi sono divertita a costruire ogni scena erotica in modo che provochi un particolare scatto nella psiche dei personaggi, un ricordo, un collegamento, un’associazione libera che servirà per il dipanarsi della trama.

In generale leggi libri d’amore, come i romance? Pensi ne scriverai uno un giorno? O preferisci restare sui generis? L’amore fa parte dei requisiti che possono attirarti verso un libro? Mentre scrivi un racconto/romanzo fa parte della tua scaletta o non è un elemento strutturale?

Ho sempre letto e scritto muovendomi in diversi generi letterari, anzi, direi che li ho girati tutti, romance incluso, anche se talvolta l’ho commistionato con il paranormal o la SF. Non mi pongo limiti. È certo però che il mainstream offre maggiori possibilità, proprio perché include tutto, come la vita. Poi, in ogni storia, la percentuale di un elemento o di un altro dipende dal fulcro che si sceglie quale idea di partenza e di arrivo, dalla funzionalità nei confronti delle azioni narrate. In “Come se fosse ieri”, per la stessa struttura del romanzo, non avrei potuto prescindere da una fortissima componente romance, tanto che il margine fra un genere e l’altro diventa molto labile. Sul piano tecnico è un mainstream a target prevalentemente femminile, ma, a conti fatti, abbiamo incontri, innamoramenti, incognite, conflitti, riappacificazioni, casualità, eros, nuovi conflitti, fraintendimenti. Happy end? Chissà... Di sicuro manca l’elemento fondamentale dell’unica coppia protagonista.

Nel 2012 ti sei piazzata al primo Premio Romance. Questo risultato ti ha condizionata? Altri premi/contest ti hanno spronata?

Partecipare al Premio Romance è stato stimolante e divertente, e sono più che soddisfatta del secondo posto ottenuto. Il racconto prescelto era stato spedito quasi per gioco, non credevo che un ex pornodivo sieropositivo potesse spuntarla su più collaudati Duchi e Conti, usciva dalle caratterizzazioni tipiche del romance, né pretendevo che un argomento tanto spinoso potesse adattarsi all’evasione spensierata richiesta da un determinato target. Invece pare che questo tipo di apertura possa funzionare e mi ha sicuramente condizionata nella stesura del romanzo. In passato ho partecipato a svariati premi, per esempio mi imbattei in Delos Books proprio grazie al bando del Lovecraft, ma mi sono sempre sentita più spronata semmai dalle selezioni editoriali finalizzate alla pubblicazione; in un premio, in definitiva, vince il migliore fra un gruppo di partecipanti, poi i racconti potrebbero essere anche tutti impubblicabili.

Un’ultima domanda, accontenta una curiosa patologica: stai già lavorando ad altro?

In verità l’Editore mi ha già fatto firmare un altro contratto, e pure il prossimo sarà quel che sarà, sicuramente non un sequel ma un altro romanzo autoconclusivo. Probabilmente mi manterrò nei dintorni dell’approccio usato per “Come se fosse ieri”; per me è stato divertente scrivere questa storia e in redazione in determinate scene continuavano a ridere nonostante fossimo all’ennesima revisione (speriamo funzioni anche con i lettori!). Mi sono trovata molto bene con il team, dal Direttore Editoriale Fabbri Sabrina Annoni all’editor Rcs Stefano Magagnoli, dall’editor Fabbri Life Roberta Ferrari alla redattrice Paola Mazzucchelli; non posso nominare tutti ma dall’ufficio diritti alla correzione bozze c’è una catena sterminata di professionisti al lavoro, e per il momento siamo concentrati su questo. Riguardo il prossimo, vedremo più avanti.

Grazie Irene della simpatia e della disponibilità. In bocca al lupo per il tuo futuro di donna e scrittrice.

Crepi! Grazie a te e a tutti i lettori delle riviste Delos, qui mi sento a casa.



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